venerdì 28 novembre 2008

Perchè l'India??


Come mai l'India...perchè Mumbai...l'estremismo islamico ha colpito per l'ennesima volta un Paese che APPARENTEMENTE non rappresenta una minaccia come l'Occidente. Negli ultimi due anni l’India è stata teatro di azioni terroristiche che brillano, APPARENTEMENTE, per insensatezza: è stata colpita la capitale economica Bombay nel giugno del 2006, e poi, per due volte la città sacra Varanasi: nel marzo del 2006 e nel novembre 2007. Al tempo stesso, però, i terroristi hanno colpito due volte, nel maggio e nell’agosto 2007, Hyderabad: moschea e mercati, in una città a maggioranza musulmana. Nel settembre 2006 era stata fatta esplodere un’altra moschea a Malegaon, in Maharashtra. Nel febbraio 2007 due bombe piazzate su un treno India-Pakistan avevano ucciso in maggioranza musulmani e c’è stato l’attacco alla Dargah di Ajmer. Nel marzo 2008 Jaipur, meta del turismo mondiale e capitale del Rajasthan, diventa il teatro dell'orrore con otto ordigni esplosi nei luoghi di maggiore affolamento della città. E infine Mumbai pochi giorni fa. Cosa c'è dietro il velo dell'APPARENZA?

Dietro quasi tutti gli episodi in questione, secondo le indagini effettuate, ci sarebbe la stessa mano: l’organizzazione islamica integralista dell’Harkat-ul-Jihadi-al-Islami (HuIJ). La HuIJ è un’organizzazione nata nel 1992 a Dhaka, in Bangladesh, con il supporto morale e materiale dell’International Islamic Front di Osama bin Laden. Scopo dell’organizzazione, prendere il potere in Bangladesh e convertire lo stato in una nazione integralista seguendo le orme dell’Afghanistan dei Talebani.

Gli uomini della HuJI erano stati, e continuano a essere, reclutati nelle madrasa (scuole) locali e addestrati in Afghanistan o in Pakistan. Anche dopo la caduta del regime di Kabul, secondo fonti delle varie intelligence locali la HuIJ continua a mantenere contatti con ciò che resta dei Talebani e con Al Qaeda. Con una piccola differenza però. I ragazzi dell’organizzazione vengono addestrati in Pakistan sotto la protettiva ala dell’Inter-Service Intelligence (Isi), i servizi segreti pakistani che gestiscono con un certo successo una serie di campi di addestramento in Bangladesh. Finanziati dal Pakistan, ovviamente, ma anche dall’Arabia Saudita e dall’Afghanistan per mezzo di organizzazioni non governative a scopo cosiddetto "umanitario". La cattura di uno dei capi dell’organizzazione, Aftab Ansari, aveva portato negli anni scorsi a evidenziare una serie di interessanti relazioni tra la HuIJ, la Lashkar-i-Toiba e la Jaish-i-Mohammed, organizzazione, quest'ultima peraltro, sospettata della cattura e dell'uccision del cronista americano Daniel Pearl. Le indagini della polizia indiana a Varanasi, ad Hyderabad e ad Ajmer, per citare solo qualche caso, avevano evidenziato il coinvolgimento di cittadini bangladeshi in ciascun episodio. Di recente, però, sembra che qualcosa sia cambiato. Sembra infatti che sia sempre più frequente il coinvolgimenti di cittadini indiani, invece che di agenti infiltrati, nelle operazioni terroristiche. Ciò significa, se facciamo due più due, che sono state create in India cellule ‘dormienti’ composte da cittadini indiani reclutati tra la goventù musulmana integralista.

La Lashkar-i-Toiba e la Jaish-i-Mohammed sono organizzazioni pakistane che operano di prevalenza nel Kashmir indiano. Da anni l’India ha un contenzioso aperto con il Pakistan, accusato di infiltrare e finanziare terroristi oltre confine mentre, ufficialmente, tende una mano a New Delhi per risolvere la questione del Kashmir. Di recente, il presidente Musharraf ha dichiarato che la Lashkar-i-Toiba non opera più in territorio pakistano, solo perchè il gruppo politico guidato da Hafeez Mohammed Sayeed ha cambiato nome, pur restando attivo nel territorio. Sayeed è tra le liste dei terroristi ricercati per gli ultimi attentati nel Regno Unito.

Sia Musharraf che Sayeed negano ogni relazione tra la Lashkar-i-Toiba e la Jamaat-ud-Dawa, ma non ci crede nessuno. Nemmeno gli americani, che hanno inserito la Jamaat-ud-Dawa nella lista delle organizzazioni terroriste, ma si sono viste opporre da Musharraf un secco rifiuto alla richiesta di congelamento dei fondi. Col cambio di strategia attuato il controllo su queste organizzazioni diventa molto più complicato: i cittadini indiani vengono agganciati direttamente sul territorio. Cittadini che si spostano facilmente da una città all’altra, minimizzando il rischio di essere scoperti. La stessa politica è stata di recente applicata dalla HuIJ, che si avvale, come gli altri due gruppi, del sostegno di un movimento interno all’India, il fuorilegge Student’s Islamic Movement of India finanziato e sostenuto anch’esso dall’intelligence pakistana. L'obiettivo, dunque, pare essere spostare il fulcro dell'attenzione dal Pakistan, considerato un nido di integralisti, e dare un'immagine della Jihad globale. Insomma il terrorismo è ovunque, finchè c'è chi lo finanzia...
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martedì 25 novembre 2008

Il saluto a Sandro Curzi

E' morto a Roma dopo una lunga malattia Sandro Curzi. Aveva 78 anni, essendo nato a Roma il 4 marzo 1930. Militante del Partito Comunista, poi Rifondazione Comunista con Fausto Bertinotti, Curzi e' stato storico direttore del Tg3 alla fine degli anni '80, poi direttore del quotidiano di Rifondazione Comunista "Liberazione". Attualmente era consigliere d'amministrazione della Rai.
Sandro Curzi era dal 2005 consigliere di amministrazione della Rai, di cui per tre mesi - in attesa della nomina del presidente da parte della Commissione di Vigilianza - e' stato anche presidente, in quanto consigliere anziano.

Da giovane frequenta il ginnasio "Tasso" a Roma, a tredici anni entra in contatto con gruppi della Resistenza antifascista. Le manifestazioni studentesche antifasciste sono attive in tutta Roma e Curzi collabora attivamente con il gruppo partigiano romano che opera nella zona Ponte Milvio-Flaminio.Nel marzo del 1944 gli viene concessa, nonostante la minore età, la tessera del Pci.Divenuto capo-redattore del mensile della Fgci "Gioventù Nuova", diretto dal Enrico Berlinguer,Nel 1951 è inviato nel Polesine per raccontare le conseguenze di quella tragica alluvione e vi rimane per un lungo periodo come segretario della Fgci.Tornato a Roma, nel 1956 partecipa, insieme a Saverio Tutino, Carlo Ripa di Meana, Guido Vicario, Luciana Castellina ed altri, alla fondazione del settimanale Nuova Generazione, di cui diventa direttore nel 1957.
Nel 1959 passa a l'Unità, organo del Pci, come capo-cronista a Roma.Dal 1967 al 1975 è vicedirettore di Paese Sera, quotidiano della sera di rilevante importanza nella seconda parte del secolo scorso, con un grande ruolo nella rappresentazione della rivolta giovanile del 1968 e della riscossa operaia del 1969.

Nel 1975, con un bando di concorso indetto dalla Rai per l'assunzione di giornalisti di "chiara fama" disposti a lavorare come redattori ordinari, entra nella redazione del Gr1 diretto da Sergio Zavoli. Nel 1976, con Biagio Agnes e Alberto La Volpe, dà vita alla Terza Rete televisiva della Rai. Nel 1978 è condirettore del Tg3, diretto da Agnes, e collabora alla realizzazione della popolare trasmissione Samarcanda. Dal 1987 al 1993 dirige il Tg3. Nel 1993, in contrasto con il nuovo consiglio di amministrazione della Rai (direttore generale Gianni Locatelli e presidente Claudio Dematté), si dimette. Nel 1994 pubblica "Il compagno scomodo" (Mondadori). Dopo un'esperienza di editorialista quotidiano all'interno del "Maurizio Costanzo Show", nel 1996 conduce le quattordici puntate del programma "I grandi processi" su Rai Uno. Dal 1998 al 2005 dirige Liberazione, organo del Partito della Rifondazione Comunista guidato da Fausto Bertinotti; eletto consigliere di amministrazione della Rai dalla Commissione parlamentare di vigilanza, con i voti di Rifondazione, dei Verdi e della sinistra del Pds, diventa poi per tre mesi presidente della Rai, in qualità di consigliere anziano, prima di lasciare il posto a Claudio Petruccioli.
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giovedì 6 novembre 2008

L'elezione di Obama

Per nulla spaventato dal complotto neo-nazi sventato a poche ore dall'Election night, Barack Obama ha preparato un’offensiva mediatica come mai prima d’ora nella storia della corsa alla Casa Bianca.
Mercoledì 29 ottobre, alle venti in punto, è andato in onda sulle principali reti televisive americane CBS, NBC, MSNBC, Fox, BET, TV One e Univision, uno spot lungo ben 30 minuti, che sembrava tanto il discorso a reti unificate del Presidente degli Stati Uniti appena insediato. Anche lo sfondo è stato curati nei dettagli dal nutrito staff di Obama, per assomigliare il più possibile allo studio della casa bianca. Immancabile, la bandiera a stelle e strisce alle spalle, come d’obligo negli Stati Uniti.

Obama quindi ha comprato, a suon di milioni, mezz'ora di spazio su sette canali nazionali per trasmettere un superspot elettorale a cinque giorni dal voto. Il filmato è frutto di settimane di lavoro del celebre regista Davis Guggenheim, figlio del documentarista ufficiale della campagna di Robert Kennedy e autore con Al Gore del documentario premio Oscar sul riscaldamento globale.



Si tratta di uno speciale (gli americani lo hanno battezzato “infomercial”), dal titolo “Barack Obama: American Stories”, che ha raccontato la vita del candidato (con tanto di immagini di genitori e nonni) e ha illustrato la storia di quattro tipiche famiglie americane, scelte con grande cura, messe in ginocchio dalla crisi. La voce narrante di Obama le ha raccontate, a partire dalla mamma bianca che denuncia i costi impossibili della sanità, al pensionato nero che non riesce a pagare le medicine alla moglie malata di artrite, alla ragazza madre ispanica che deve fare due lavori per poter crescere la figlia, fino all'operaio che ha perso il lavoro alla Ford, icona del grande sogno americano.

Nessun candidato prima d’ora, in tutta la storia della repubblica presidenziale americana, aveva mai pensato di ricorrere agli strumenti multimediali lancioando un’offensiva di queste dimensioni. In passato ci era andato vicino il miliardario texano Ross Perot - che partecipò alla corsa alla Casa Bianca nel '92 contro Clinton e Bush padre, con scarso successo. All’epoca Ross Perot comprò una serie di maxispot ma molto più brevi e non su tante televisioni contemporaneamente.

Per poter lanciare la sua offensiva mediatica, Barack Obama ha speso una fortuna: 5 milioni di dollari per mezz’ora di trasmissioni. Certo, se lo poteva permettere dal momento che la sua raccolta fondi ha superato la cifra astronomica di 600 milioni di dollari. E non si è certo risparmiato nei giorni scorsi, trasmettendo ben 140.00 spot su tutte le emittenti televisive americane che, per vederli uno dopo l’altro, occorrerebbero 53 giorni di visione ininterrotta.

Gli esperti di immagine di Obama hanno studiato a lungo non solo il discorso, e tutti gli aspetti del filmato, ma anche quale fosse stato il momento più propizio per trasmetterlo, per avere il massimo impatto emotivo per convincere gli indecisi, sulla scia del comizio tenuto con Bill Clinton.

Ma sulla capacità di usare le nuove tecnologie e soprattutto gli strumenti multimediali in campagna elettorale, Barack Obama ha già dato ampia prova durante le primarie, facendo sembrare la sua ex-rivale Hillary Clinton alquanto retrò. Il risultato è stato certamente positivo:

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