mercoledì 7 gennaio 2009

Sono nato all'estero, rubo e lavoro in nero. La legge favorisce il comportamento negativo di un immigrato?

Quando un individuo necessita di una risorsa fa di tutto per accaparrarsene il più possibile. L’Italia ha bisogno dell’apporto nella forza lavoro degli extracomunitari, però, l’immigrazione resta un tema delicato e problematico ancora oggi. Nel nostro Paese ci sono circa quattro milioni di immigrati regolari, una rappresentanza che supera il 6% della popolazione totale. La media è leggermente superiore al resto dell’Unione Europea, probabilmente grazie anche all’aumento degli ultimi anni causato dall’apertura delle frontiere. Con l’ingresso della Romania nell’UE, datato 1 gennaio 2007, la comunità rom è raddoppiata e così è iniziato il martellamento mediatico nei confronti di una consistente fetta della comunità romena. A questo punto è giusto seguire una linea logica: come può arrivare un immigrato in Italia? Generalmente le comunità straniere che si trovano all’interno del nostro territorio sono in contatto costante con quelle all’esterno e che risiedono nel paese d’origine. Un parente chiama l’altro, sfruttando delle “buone” occasioni per arrivare in Italia. L’inizio è regolamentato dalla presenza di un visto turistico che generalmente dura tre mesi. Poi è il limbo. Si vive in una situazione di precarietà, ed è proprio in questo passaggio che si sviluppano xenofobia e razzismo. In questa fase la maggior parte degli immigrati vive principalmente di: lavoro nero, accattonaggio e piccoli furti. Il lavoro nero è una piaga sociale, perché favorisce l’evasione fiscale, ma è anche una piaga per l’immigrato che è spesso l’unico individuo che si adegua a svolgere determinati compiti per una paga insulsa, e per la quale un italiano si rifiuterebbe, in condizioni lavorative da schiavitù. L’accattonaggio è un problema evidentemente collegato ai rom, generalmente minorenni, che spesso si ritrovano in luoghi pubblici molto frequentati a chiedere l’elemosina. I piccoli furti, invece, sono strettamente legati all’accattonaggio, e qui certo l’etica della popolazione rom viene un po’ meno dato che vengono utilizzati i bambini. La spiegazione più elementare al riguardo è stata data dal Capo della Polizia Manganelli in un discorso al Senato in cui veniva spiegato che questa situazione è favorita dall’incertezza della pena. Il succo dell’intervento sta nell’affermazione “meglio una pena blanda oggi che non la promessa di un castigo futuro che non arriva mai”. E così accade nella realtà, se pensiamo ad un recente caso in cui una comunità rom è stata accusata per abuso di minori. La mente di questa organizzazione era una donna con oltre 130 foto segnaletiche alle spalle, senza che mai ne venissero accertati i precedenti reati. Quindi spesso l’extracomunitario si rende protagonista di azioni riprovevoli, così come il cittadino italiano, ma non bisogna dimenticare di come la legge favorisca tutto ciò con la propria negligenza. Stando ai fatti poi c’è da dire che in Italia lavorano un milione e mezzo circa di immigrati, situati generalmente al Nord, dove il lavoro si trova con “maggiore facilità”: a Brescia, ad esempio, dove un lavoratore su cinque è nato all’estero, o nella stessa Milano, dove il rapporto è di uno a sette. Se non contiamo i lavoratori in nero dobbiamo, di conseguenza, sottolineare che questi lavoratori contribuiscono alla crescita del Pil per il 9%. La cifra è importante a dimostrazione del fatto che l’Italia senza l’apporto di queste persone non ce la potrebbe fare, però non si riesce a fare abbastanza a livello legislativo per favorirne la regolarizzazione e la giusta integrazione sociale. A dimostrazione di ciò parlano i dati: in Italia nel 2007 hanno ottenuto la cittadinanza poco meno di 40 mila stranieri. Se pensiamo che le media europea è di 700 mila l’anno, più o meno 2 mila persone al giorno, il dato risulta bassissimo. In Italia, però, restiamo sempre al primo posto nella classifica delle più svariate problematiche sociali. Peccato poi che non sempre siamo a conoscenza della causa.